“L’abito non fa il monaco ma permette di entrare nel monastero”.

In qualsiasi contesto gerarchizzato della vita, l’abito fa il monaco. La ragione si capisce facilmente: la rapidità degli incontri e l’impossibilità di avere accesso alla vita personale della persona (chi sarà davvero costui?) rendono necessario una segnaletica dei gradi, funzioni e intenzioni, la più chiara possibile.

Nell’impresa, la domanda è immediata: chi decide qui? Bisogna saper guardare per rispondere a questa domanda.

In quel ambito si temono, in generale, i figurini (gravures de mode) e i codici evolvono molto lentamente. Soprattutto nel management dove si teme il divario con il personale delle fabbriche. La moda costruisce l’ordine delle gerarchie sociali.

Coco Chanel ripeteva che si ispirava alla strada per creare le proprie collezioni. Collezioni che la strada si riprendeva per trasgredirle e portare la creatrice a creare nuovi codici. Chi crea davvero la moda? I creatori o la strada? I due ambiti interagiscono, si provocano, si annullano, fanno una battaglia ludica e danno un nuovo sviluppo cosi, mirando con l’obsolescenza di alcuni segni (detti demodé), da convalidare le due supremazie.

E’ in questo senso che la moda è un meraviglioso regolatore delle tensioni sociali. E i giovani lo capiscono in fretta appropriandosi i codici della borghesia: Lacoste, Vuitton, Dior….Lo street wear, ispirato dal look giovanile, sfila oramai sulle passerelle.

Dalla nudità all’abito

I padri della chiesa, che vedevano nel corpo femminile il veicolo del peccato, ne hanno parlato a lungo. Si può immaginare che le prime donne inventarono l’indumento per nascondere la loro parte più intima sia per proteggersi sia per attirare. Cosi come l’uomo.

La cintura fu sicuramente uno dei primi accessori inventato poiché venne a vestire di simboli i corpi separando l’alto dal basso, gli organi della digestione da quelli della riproduzione, lo spirituale dall’incarnato.

Rapidamente, questo nascondere divento’ un esercizio di stile e i primitivi furono grandi semiologi che ricamarono sul tema: come mostrare meglio nascondendo.

Montaigne  scrisse a  proposito :” ogni vestizione nasconde una regione del corpo per chiamare meglio l’attenzione su di essa.” (Les Essais) 1595

Questi accessori furono completati da decorazioni sulla pelle: tatuaggi, scarificazioni, o segni più mutilanti: escissioni, limatura dei denti, infibulazioni, e altre mutilazioni….L’uomo è un animale strano: è l’unico che non sopporta il corpo datogli dalla natura.

Le donne delle alte pianure birmane impilano ancora oggi attorno al proprio collo collane di rame allungandolo cosi di circa 20 centimentri.

In Mauritania, le ragazze di qualità sono ingozzate fino a diventare obese poiché solo la donna molto grassa è considerata bella; altre allungano il loro labbro inferiore per poterci inserire un piatto di legno o di conchiglia. Tutte pensano che la donna europea sia primitiva nel non imporre la propria legge estetica alla natura.

L’uomo crede così poco alla verità della sua nudità che ha sempre avuto bisogno di far parlare la sua apparenza modificandola. Non smette di piegare il corpo fisico a quello sociale. Questo passaggio dà spesso luogo a rituali importanti, secondo i quali il corpo degli adolescenti è segnato del sigillo della casta. L’inserimento dell’individuo nel gruppo è condizionato all’osservanza di determinate convenzioni estetiche, varie mode. La pressione sociale basta.

L’indumento è magico perché accompagna tutte le investiture. Presiede alla maestà papale o regale, arma il cavaliere, introduce l’adolescente nel suo gruppo sociale, prepara il matador alla lotta. In breve, permette l’esercizio di un principio più grande dell’uomo stesso. L’assistenza fa quindi la differenza: l’abito fa il monaco e l’indumento l’identità.